Editore: Stauròs
Pagine: 81 - 83
Anno di pubblicazione: 2003
L’inquietudine contrassegna, dalla fine del XIX secolo sino all’incipit del Terzo millennio, il pensiero contemporaneo e quindi l’arte. Inquietudine di matrice nichilista, talvolta agostiniana. Quest’ultima, non votata al nulla, ma alla speranza anche quando disperata: spes contra spem. Sebbene ideologicamente definito ateo, quest’arco di tempo è traversato da fremiti di ribellione ai dogmatismi della raison, alle certezze positiviste, al materialismo. Il Novecento, soprattutto, si rivela secolo di tensioni interiori, volte alla penetrazione del mistero che fonda l’uomo, la natura, la storia; secolo dell’Io che cerca nell’immanenza e nella trascendenza, il senso del suo essere. Un’epoca significante il bisogno di una veritĂ che risponda agli interrogativi e alle urgenze dello spirito, non prigioniero di sillogismi e calcoli, che pur nel ripetersi di conflagrazioni mondiali mostra, se non la luce di Dio, almeno la sua ombra. Stretto si dimostra il rapporto tra filosofia, letteratura e arte. Dimensioni di un’unica realtĂ dell’uomo, disilluso dai massimalismi e umiliato dai poteri, che vuole andare, oltre la parvenza degli eventi, dentro l’enigma dell’esistere, per comprendere il perchĂ© del dolore e la presenza della morte. Gli artisti – pittori e scultori – non sono esenti dal turbinio dell’esistenza. Ne sono partecipi, testimoni e interpreti con la loro creazione. Fin dall’inizio del XX secolo essi esprimono, non piĂą accademici , in forme nuove, ribelli e tragiche, la “condizione umana”, significando i drammi della guerra e l’angoscia della solitudine. Assumono nella carne, quindi nella pittura e nella scultura, la terribilitĂ del lutto, carico di cadaveri, e la coscienza suicida di filosofie senza Dio. Traducono il tormento del vivere, la pietĂ per gli agonizzanti, l’invocazione al perdono, l’urlo gridato al cosmo, il singulto dell’anima.
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