Pagine: 104
Anno di pubblicazione: 2015
Realismo esistenziale
Allievo di Francesco Messina all’Accademia di belle arti di Brera, dove emerge per intuito plastico, Floriano Bodini (nato a Gemonio, Varese, nel 1933, e morto, nel 2005, a Milano) attira, a metà anni cinquanta, la critica sia per le terrecotte, ritraenti alcuni familiari, scavati da tratti riconducibili al segno grafico fissato sui fogli, sia per le sculture lignee, arcaiche nel naturalismo purista dell’impianto, che raffigurano crocifissi e prostitute. Icone ascetiche, chiuse nella compattezza di una modellazione che rimanda a Wiligelmo, appaiono cariche di dolore. Totem sacri, vibranti nell’ombra, di Cristo e dell’uomo in una stagione asfittica per la fede. La povertà del legno secco interpella. Parla con gravità alla mente di metánoia, di cambiamento del pensare, di rifondazione della coscienza al cospetto di atrocità e indifferenza.
Tra il ’56 e il ’62 Bodini sceglie la contemporaneità , contrassegnata da Auschwitz e Hiroshima. Tralascia, provvisoriamente, il legno, elaborando nel bronzo immagini di persone conosciute con sintassi espressionista, che fonde la macerazione gotica e l’angoscia del novecento. Linguaggio inatteso, grave e sofferto. Indicativo di questo processo è l’appartenenza al gruppo milanese Realismo esistenziale, al quale aderiscono Banchieri, Ceretti, Guerreschi, Vaglieri, Romagnoni. Il gruppo, consapevole del presente, vuole manifestare con autenticità l’urgenza di far conoscere, ad opera di una figurazione graffiante, la disperazione del vivere. Non è possibile rinchiudersi nella fortezza estetica dell’astrazione, in un secolo in cui la forma umana è negata sino al genocidio dei lager nazisti e dei gulag sovietici e sino all’immane tragedia della seconda guerra mondiale con milioni di morti. È la realtà che deve sussistere nell’arte con i contenuti di una storia trafitta di cadaveri. Estetica pregna di etica è quella del Realismo esistenziale e di valori che riedificano umanamente l’uomo. Fantasmatica, talvolta surreale, nell’osservazione della routine, fatta di presenze vagolanti nell’assurdo, soffocate dal nichilismo, assordate non più dal rombo della guerra, ma dal deserto interiore.